Sabato scorso in Sala Consiliare presso il Municipio si è svolto l’incontro su “Smart City, amministrazione e agenda digitale: come amministrare 2.0”, organizzato dal Partito Democratico.
L’incontro, moderato da Enrico Scacco (PD), presenta un ricco e importante gruppo di relatori, con esperienza di rilievo nazionale, politica, economica e didattica. Francesca Gambarotto, docente di Comunicazione e innovazione d’impresa presso l’Università di Padova, Flavia Marzano Presidente degli Stati Generali dell’Innovazione (SGI), Laura Puppato senatrice del PD ed ex sindaco di Montebelluna (TV), Michele Vianello smart communities strategist, ex direttore del Parco scientifico e tecnologico VEGA a Venezia; e Dimitri Tartari assessore con deleghe a comunicazione e innovazione tecnologica al Comune di San Giovanni Persiceto (BO) e consulente per la Regione Emilia-Romagna.
Si parte dalla relazione di Between sullo Smart City Index del 2013, basato su 9 indici, che classifica le città italiane secondo un punteggio da 100 a 0, dove 100 è il valore attribuito alla città di Bologna, la più intelligente. Gli indici usati da Between sono stati:

    Smart health (sanità intelligente ed elettronica)
    Smart education (educazione intelligente)
    Smart Mobility (mobilità intelligente)
    Smart government (governo intelligente), esempio l’utilizzo degli open data
    Mobilità alternativa
    Efficienza energetica
    Risorse naturali
    Energie rinnovabili: fotovoltaico, eolico, idroelettrico

Michele Vianello non ritiene però questi parametri utili ad individuare chi o cosa sia veramente “smart” (intelligente), perché il punto principale è come questi indici vengono usati. Esempio una scuola che ha dei pc non è smart di per sé, ma perché li usa come piattaforma didattica. Un altro esempio in ambito urbano: le aree metropolitane (da 10 milioni di abitanti in su) sono aree intelligenti nel momento in cui riescono ad affrontare le emergenze ambientali. Vianello definisce come smart city la capacità di governare e utilizzare i processi informatici per migliorare il modo di vivere. Si tratta di una rivoluzione della conoscenza. Un esempio negativo di come non essere smart è il comune che possiede una pagina Facebook o Twitter e controlla unicamente di avere più seguito o meno (in gergo i follower), oppure ha la classica “pagina vetrina” del sito comunale senza alcuna possibilità di interazione o erogazione di servizi digitali. È smart chi riesce a cambiare forma.
Tre sono i fattori smart secondo Vianello:
Infrastrutture. Ti colleghi o non ti colleghi alla Rete. Come ci si connette? Se non ho internet non posso lavorare, allora quanto internet ho? Questo attira nuove generazioni di imprese che vogliono investire, non servono le tangenziali per arrivare nella zona industriale, bensì connessioni a banda larga. Gli amministratori locali devono quindi cambiare paradigma cognitivo (meno tangenziali, più corsie digitali).
Alfabetizzazione digitale. Chi è analfabeta digitale? Non l’anziano, ma il sindaco o gli imprenditori. I distretti sono virtuali e non fisici (come la Silicon Valley americana): inclusivi e smart, quindi portano all’inclusione digitale.
PA smart. Esempio togliere il fax e la PEC, entrambi strumenti inutili e obsoleti. Eliminare la burocrazia e non portarla online (in rete). Ci si deve autoregolare senza una borbonica legislazione alle spalle. Eliminazione delle norme inutili e dettagliate. Si lavora per costruzioni e non per obiettivi. Il legislatore deve individuare pochi principi generali e poi lasciare libertà di manovra ai singoli (“fate come volete”).
Vianello cita uno studio importante e approfondito sulle Smart City dello studio Ambrosetti: “Smart City in Italia”.
Flavia Marzano pone l’accento sull’importanza di avere italiani giovani che siano cittadini digitali a pieno titolo, cioè abbiano le competenze e le capacità per comprendere l’evoluzione portata dalla rivoluzione digitale nel nostro secolo. L’Italia si trova al 50esimo posto nella classifica mondiale per tecnologie digitali. In ambito locale il piano regolatore deve evolversi e oltre a prevedere acqua, elettricità, gas deve prevedere connessione a banda larga o ultra larga. Bisogna cambiare il modello di lavoro e fare innovazione, per esempio in ambito universitario o prevedere del credito per poter sviluppare internet sul territorio. Marzano ricorda la carta d’intenti per l’innovazione2 che gli SGI hanno fatto firmare a vari politici anche del PD (tra cui Laura Puppato), che prevede dieci priorità programmatiche per le politiche dell’innovazione sulle quali si chiede l’impegno di chi si candida al Governo del Paese, e nelle assemblee legislative nazionali e (rispetto alle specifiche competenze della Regione) territoriali. Marzano cita poi il gruppo Wister – Women for Intelligent and Smart TERritories che conta più di 200 donne e promuove l’integrazione di genere perché un territorio non è smart se non è inclusivo.
Laura Puppato ricorda che fa parte di un gruppo parlamentare per l’eliminazione della burocrazia in Italia e sottolinea l’importanza di rendere quanto prima possibile attuabili le novità emerse durante il dibattito. La senatrice illustra la piattaforma Open Parlamento un progetto del 2008 particolarmente innovativo nella concezione e nei livelli di servizio: mette a disposizione di tutti i cittadini gli strumenti per seguire, comprendere e partecipare a tutto ciò che viene proposto, discusso e votato da deputati e senatori del parlamento italiano. Ogni giorno i dati ufficiali delle attività di Camera e Senato vengono estrapolati dai siti ufficiali per ricavarne informazioni quantitative e qualitative solitamente sconosciute o accessibili solo agli addetti ai lavori (gruppi di politici, economici, lobbisti). Un utilizzo virtuoso di open data (dati aperti), cioè dei dati che dovrebbero essere pubblici e di pubblico utilizzo e ri-utilizzo.
Dimitri Tartari sottolinea il fatto che non si possa più tenere fuori la tecnologia dalle istituzioni. Nei piccoli comuni si può fare fino a un certo punto. I temi importanti, come quello della smart city e dell’evoluzione tecnologico-digitale, non sono temi neutrali, non devono per forza mettere tutti d’accordo, perché quando l’accordo è unanime non si attua nulla. I soldi risparmiati sulle luci teleregolabili nei nostri comuni vanno investiti in altro: questa è politica. La città intelligente deve vertere su scuola e l’amministrazione. La Regione Emilia-Romagna attraverso l’agenda digitale tenta di riorganizzare la pubblica amministrazione. Le realtà urbane italiane, costituite da piccoli e medi comuni, non possono avvalersi di consulenze per la digitalizzazione da parte di grandi società come IBM perché queste aziende si rivolgono ad agglomerati urbani europei con milioni di abitanti. All’interno della PA serve formare del personale che sappia utilizzare gli strumenti informatici e conosca i temi che la rivoluzione digitale ha portato all’attenzione del pubblico, l’età media è troppo alta e la formazione individuale non è più al passo con i tempi. Tartari sottolinea infine l’importanza della diffusione capillare della banda larga come infrastruttura portante: tutti devono avere accesso alla Rete ovunque sul territorio nazionale.
Francesca Gambarotto tiene a sottolineare la pericolosa equazione che intercorre tra tecnologia e possibile fascinazione. Non è vero che tutto ciò che è tecnologico è bello. La tecnologia non porta alla risoluzione di tutti i problemi e smart di per sé non vuol dire nulla, non ha alcun valore aggiunto. La Torino industriale degli anni ’50 prevedeva un’organizzazione perfetta rapportata a quegli anni. Era quindi smart? Eppure non sarebbe rientrata in nessuno dei parametri di intelligenza finora elencati. L’economia porta evoluzione e bisogna partecipare a questa evoluzione. Dobbiamo attrarre l’interesse pubblico alla partecipazione, creare un spazio pubblico a cui partecipano tutti. In ambito open data, questi dati devono essere resi pubblici, utilizzati, trasformati e poi resi alla collettività, alla comunità, perché il pericolo è che vengano presi da grandi compagnie private e poi bloccati attraverso il copyright, senza poter essere re-investiti e ri-donati alla collettività.
Enrico Scacco
Partito Democratico di Cadoneghe (PD)