Aveva ragione Civati: a questo paese servirebbe un Ministro del digitale. Lo sviluppo legato alla rete potrebbe un passaggio decisivo per l’economia nazionale, lo dimostra la nomina di Fleur Pellerin in Francia come Ministro allo sviluppo delle Innovazioni e del digitale. Un fenomeno, quello dello sviluppo elettronico e informatico, da scoprire e dominare.
Quante persone accedono ad internet ogni giorno, quante utenze professionali, ad oggi qual è lo stato della copertura nazionale, come sfruttare queste condizioni in maniera favorevole? Le indagini OCSE ed Eurisko ci forniscono un panorama chiaro del fenomeno digitale nel nostro paese: dal 1998 ad oggi, lo sviluppo e l’utilizzo della rete ha avuto una tendenza di crescita maggiore di qualsiasi altro strumento di comunicazione e informazione. Tutti i giorni, in Italia, accedono ad internet più di 25 milioni di persone, sia per uso privato che professionale o di formazione. Le analisi ci permettono di affermare che si è passati da “strumento per pochi” a “portale utilizzato ed utilizzabile da quasi tutti”. L’accesso alla rete è un’esperienza collettiva e aperta che unisce generazioni diverse, non si è mai troppo vecchi o troppo giovani per navigare, diverse fasce di reddito e diversi territori italiani. I dati ISTAT ci mostrano che il 54% dei residenti in Lombardia si connette almeno una volta a settimana, dato che scende al 40% in Sicilia: una diminuzione qualitativa del dato, certo, ma non troppo forte e capace di dimostrare che il fenomeno digitale ha avuto una capacità penetrativa nel nostro paese molto più forte di altri ambiti.
Il primo problema sorge proprio in questo momento: attualmente il territorio nazionale non è coperto nella sua totalità né attraverso un servizio di banda larga né di banda ultralarga. Le stime parlano di quasi 3 milioni di italiani senza possibilità di accedere all’ADSL, addirittura 23 milioni se parliamo della connessione a 100 megabit al secondo. Quest’ultimo, un servizio chiesto più volte a gran voce dalle associazioni industriali e artigianali con partnership all’estero e la necessità di innovazione per poter competere nel mondo. Un freno economico non da poco visto che, la diffusione di internet ha un impatto positivo “puro” sull’occupazione, specialmente in quella giovanile. Un dato rafforzato anche da una relazione direttamente proporzionale tra diffusione della rete e formazione universitaria. Questi dati, validi per tutte le economie avanzate è particolarmente importante per il nostro paese che si trova oggi in ritardo in tutte le classifiche degli ambiti citati sopra, mostrano una causa della nostra sofferenza economica ma anche una soluzione possibile: un’inversione di marcia nei campi della formazione, dell’accesso al credito e nella formazione di start up capaci di cogliere al meglio il flusso dell’e-commerce e delle innovazioni tecnologiche. Sviluppo digitale fa rima con crescita, in tempi brevi per lo più!

Uno degli ultimi studi della Boston Consulting ha stimato la dimensione legata ad internet nei nostri mercati nazionali: la conclusione è stata che nel 2010 essa ha raggiunto il 2% del PIL. Un altro studio, questa volta del McKinsey Digital Advisor Group, ha invece affermato che internet ha già creato in Italia circa 700mila posti di lavoro, generandone 1,8 per ogni posto perso. Indizi significativi che certificano il peso positivo della rete sulla nostra economia, escludendo radicalmente il possibile effetto del labor saving.
Ma se aumentasse l’indice di diffusione di internet del 10%, quanti occupati si avrebbero l’anno dopo nella fascia tra i 16 e i 64 anni e tra i 16 e i 24 anni?
Per rispondere a questa domanda sono stati consultati i dati OCSE raccolti tra il 1999 e il 2010 utilizzato la tecnica statistica della regressione, tenendo conto di indici economici costanti e varibili.
Le stime parlano chiaro: siamo davanti ad un costante e significativo aumento occupazionale grazie ad internet valevole per tutta la popolazione (+ 0,44%) ma tre volte più forte per l’occupazione giovanile (+1,47%) in un ipotetico paese medio. Se nel 2010 l’Italia avesse avuto la stessa diffusione di rete di Germania o Francia, il tasso di occupazione avrebbe visto un aumento di 200mila occupati di cui 100mila nella fascia d’età giovanile. Numeri addirittura più alti se preso come esempio la diffusione internet Olandese.
Non basta però solo una larga diffusione. Lo sviluppo digitale necessita di capitale umano. Un punto cruciale poiché implicherebbe uno sforzo pubblico per lo stanziamento di fondi per lo studio universitario in questi ambiti. Per poter impegnare una quantità significativa di sforzi comuni per l’obiettivo della crescita digitale dobbiamo prima capire come modificare l’ambiente in cui questa rivoluzione deve nascere.
Politiche per far crescere l’ecosistema (digitale)
In un ambiente sfavorevole, il volano digitale non porta a grandi successi. Gli effetti positivi sono più marcati in basati sul livello di istruzione e di “readiness” (essere preparati). Se un paese non è pronto a interagire nella giusta maniera con l’apparato digitale, gli investimenti nella tecnologia saranno inutili. Come creiamo quindi un ambiente favorevole a questo sviluppo?
Le formule magiche non esistono ma una via chiara è già stata segnata dai nostri colleghi europei: serve una forte spinta per aumentare qualitativamente il livello di formazione scolastico e universitario. Un azione che andrebbe in controtendenza con la diminuzione netta di iscrizioni e immatricolazioni universitarie. Queste diminuzioni minano le possibilità di investimento nelle nuove tecnologie oltre a impoverire culturalmente il nostro paese. Discorso analogo per la formazione di lavoratori e professionisti.
H-Farm, start up…
La rivoluzione digitale che dovremmo affrontare ci ha già posto il problema di come il pubblico dovrà intervenire per la costruzione di infrastrutture e per la formazione. Questo però non basta, servirà anche la capacità da parte degli enti privati di sfruttare al meglio le potenzialità della rete. Compariamo per esempio Svezia e Italia: entrambe le nazioni hanno la stessa copertura di banda larga ma solo il paese scandinavo ha saputo approfittare dei benefit digitali, questo perché ha permesso un maggiore sviluppo all’azienda privata. La pesantezza del nostro sistema burocratico, oltre ad essere un freno al sistema economico in generale, si presenta come un insormontabile ostacolo alla vena imprenditoria giovanile e digitale. H-Farm a parte, vi sfido a citarmi esempi di start up nate in Italia in un lasso di tempo inferiore ai 10 mesi. La tecnologia ha oggi abbattuto i tempi e i costi di gestione per l’avvio di un’attività: la riduzione della burocrazia è un passo base per poter usufruire della forza economica dell’e-commerce. Pensiamo a un adempimento digitale di pratiche e tasse: semplificazione e spinta per le aziende.
Rivoluzione totale: conclusione.
Chiediamoci: quanti piccoli imprenditori sanno utilizzare le e mail? La rivoluzione digitale passa per un patto generazionale capace di responsabilizzare i giovani, veri promotori della tecnologia e dell’innovazione, e di favorire la crescita dei nostri distretti industriali locali che, grazie alla digitalizzazione, sarebbero in grado di proporsi a mercati nuovi, specializzandosi e ampliando il bacino di mercati di riferimento.
Non servono finanziamenti a pioggia ma un controllo e un coordinamento locale capace di valorizzare le strutture pre-esistenti e di migliorarle, caso per caso, riportando capitali e lavoro sul territorio. Il futuro passa da qui, dalla nostra capacità di ripartire e reinventarci per l’economia globale. Il futuro passa dal digitale.
Andrea Rozzato