Pubblichiamo nel nostro sito un testo di Piero Ruzzante e Umberto Zampieri del Pd di Padova.
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Il 5 aprile del 1992 iniziava, nel cuore dell’Europa, una delle pagine più buie della nostra storia recente: l’assedio di Sarajevo.
Sarebbe durato 1000 giorni, causando oltre diecimila morti e circa 50.000 feriti. Tanti bambini rimasero orfani, i diritti umani furono violati impunemente.
Questo è solo un capitolo del conflitto che ha dilaniato l’ex Jugoslavia, provocando lutti terribili, pulizia etnica, fame, disperazione, scontri religiosi. Basta citare Srebrenica e i suoi ottomila morti (tutti uomini e ragazzi mussulmani) per rendersi conto del livello inconcepibile raggiunto dall’orrore.
L’assedio di Sarajevo è stato più lungo dell’assedio di Leningrado, durante la Seconda Guerra mondiale, l’eccidio di Srebrenica è stato il più sanguinoso dopo la sconfitta del nazifascismo. La Bosnia Erzegovina il Paese più martoriato in quegli anni terribili.
Quella guerra l’abbiamo perduta tutti, non solo i popoli dell’ex Jugoslavia, ma l’intera Europa, che non seppe reagire per tempo, non fu in grado di evitare il macello dei Balcani. Dividendosi tra chi era a favore dei Croati e chi vicino ai Serbi permise ai criminali di guerra di agire indisturbati per un decennio.

Una città come Sarajevo (dove convivevano pacificamente da anni le tre principali etnie di quell’area, dove il dialogo religioso aveva una lunga tradizione, dove lo stesso Islam aveva dimostrato di potersi perfettamente integrare con l’Occidente, privo com’era di estremismi e di fanatismi che lo caratterizzano ad altre latitudini, dove i matrimoni misti erano numerosissimi, dove i bambini mussulmani festeggiavano oltre alle loro ricorrenze anche quelle dei bambini cattolici o ortodossi e viceversa) è stata stremata dalle bombe e dai cecchini sotto gli occhi attoniti e impotenti del mondo.
Non solo tutta l’Europa ha perso quella guerra, ma tutti noi non siamo stati ancora in grado di vincere la pace.
Secondo l’Unhcr sono ancora 74.000 i rifugiati e gli sfollati. Si tratta di una delle cinque situazioni più gravi a livello globale.
Come scrive di Aleksandar Hemon (uno scrittore statunitense di origine bosniaca), in un bellissimo articolo pubblicato sull’ultimo numero di Internazionale, dopo il conflitto le posizioni si sono radicalizzate, lo scontro etnico e religioso non si è sopito, cova sotto la cenere ed è pronto a riesplodere, perfino i bambini vivono in mondi separati pur frequentando gli stessi edifici scolastici. L’Islam sta perdendo le sue peculiarità di apertura e di dialogo e così le altre confessioni. Le Istituzioni della Bosnia Erzegovia sono bloccate da un sistema di veti incrociati che se ha consentito di porre fine alle ostilità non sono state in grado di gestire la ricostruzione e la rinascita del Paese.
Oltre il 50% della popolazione è disoccupata, mentre si moltiplicano ministri e parlamentari che hanno come unico obbiettivo quello di impedire il funzionamento delle Istituzioni, perseguendo un ulteriore smembramento dello Stato.
C’è anche qualche segno di speranza. Molti criminali di guerra, appartenenti a tutte le parti in conflitto, sono stati assicurati alla giustizia, tra gli ultimi il Generale Radko Mladic, comandante delle truppe serbo bosniache che si sono rese responsabili di crimini contro l’umanità di inusitata ferocia.
Sono ricominciati i matrimoni misti che dimostrano come spesso il popolo sia molto più avanti delle Istituzioni politiche e religiose.
Ma non basta. E’ troppo poco per coltivare la speranza. L’Europa ha un’occasione per riscattare la pessima figura di venti anni fa. A Giugno, probabilmente, il Governo Bosniaco chiederà l’apertura dei negoziati per l’ingresso nell’Unione. Noi siamo convinti che questa sia l’unica strada per risolvere una situazione che si protrae da troppo tempo e che non sembra avere altre vie d’uscita. E’ del resto impensabile, a nostro avviso, che siano ammessi nell’Unione la Croazia e la Serbia e non la Bosnia Erzegovina, che si trova nelle difficoltà attuali soprattutto a causa alle mire espansionistiche dei due Stati confinanti.
Anche noi possiamo fare qualcosa, e la faremo. Nei prossimi mesi organizzeremo come Partito Democratico un momento di riflessione su quegli eventi drammatici e una raccolta di fondi a favore della Bosnia Erzegovina che destineremo ad uno dei tanti progetti di cooperazione portati avanti dalle associazioni del nostro territorio, che in tutti questi anni hanno dimostrato una grande solidarietà nei confronti di quei popoli. Padova e il Veneto, tra il 1991 e il 1999, non rimasero indifferenti alla tragedia dei Balcani. Furono migliaia i cittadini che raccolsero aiuti, centinaia le persone che si recarono in quelle terre martoriate, decine le organizzazioni che si attivarono nel segno della fratellanza e della generosità, molti gli Enti locali che accolsero a braccia aperte i profughi, molti dei quali vivono ancora oggi con noi, perfettamente integrati e portatori di una cultura che ha arricchito la nostra comunità. Anche noi, nel nostro piccolo, insieme alle ragazze e ai ragazzi della Sinistra giovanile di Padova, portammo – in un viaggio drammatico e indimenticabile – aiuti umanitari e il nostro sostegno ai tanti democratici che si opponevano alla deriva nazionalista criminale di Milosevic, di Tudman e dei loro complici.
Sono passati vent’anni, ma non dimentichiamo né lasciamo solo chi ancora combatte per vincere la pace.
Piero Ruzzante
Segretario del Pd città di Padova
Umberto Zampieri
Assessore del Comune di Padova