Riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione del nostro giovane iscritto Andrea Rozzato. La disoccupazione giovanile interessa in Italia una fetta crescente di popolazione, circa un giovane su tre non trova lavoro. Molti sono anche gli scoraggiati, che evitano proprio di cercarlo. Si tratta di un’emergenza da aggredire con politiche a breve, medio e lungo termine.
Agire per cambiare il futuro. La vera grande sfida della politica deve essere quella di tutelare il futuro della persona, assicurando alle nuove generazioni che si affacciano sul mondo del lavoro la possibilità di agire e contribuire alla rinascita del Paese.
L’Italia ha la necessità di ricominciare a scommettere sul futuro. Quello della disoccupazione giovanile non è solo uno dei problemi che affliggono il nostro paese, è forse l’immagine più naturale di un Paese che ha smesso di puntare coraggiosamente sul progresso e sopravvive in un presente di stagnazione che toglie slancio e prospettiva alla nostra crescita. La disoccupazione giovanile nasce proprio dalla mancanza di un modello di sviluppo preciso, amnesia delle varie formazioni politiche che negli ultimi vent’anni si sono alternate, fallendo nella ricerca di un nuovo percorso sul quale far ripartire l’economia. Per poter individuare le cause del fenomeno, si deve analizzare lo scenario italiano economico e politico che negli ultimi dieci anni ha potuto vantare uno dei più bassi tassi di crescita al mondo, un enorme debito pubblico che pesa soprattutto sulle nuove generazioni e la totale mancanza di politiche riformatrici nel mondo del lavoro e dell’istruzione. Per poter far fonte alla questione e invertire drasticamente il trend negativo è necessario investire con criterio nell’istruzione, accompagnando la formazione personale con riforme economiche ed amministrative rivolte alle aziende e modificando il concetto di “contratto flessibile” come lo conosciamo oggi.
Istruzione
Il precedente Governo ci ha dato prova di cosa voglia dire tagliare sul sistema scolastico. Oggi ci troviamo davanti ad istituti fortemente impoveriti sul piano strutturale e di offerta formativa, universitaria e superiore. E’ necessario ricominciare ad investire sul futuro e, soprattutto, sulla qualifica accademica e professionale delle generazioni pronte a lanciarsi nel mondo del lavoro. Le ultime indagini OCSE ci dicono come il numero di laureati in Italia si fortemente inferiore alla media UE e come il cinquanta percento degli studenti universitari abbandoni il corso di studi prima della laurea. Difficoltà accademica a parte, la causa maggiore di abbandono universitario è il pesante costo della retta. Lo studio OCSE evidenzia anche come il nostro paese sia ultimo nella classifica europea nella concessione di borse di studio. Oggi, l’Italia non può permettersi di perdere migliaia di giovani laureati per motivi legati al reddito. Il modello danese ci insegna come sia importante investire sulla formazione e questo deve essere il nostro diktat: permettere agli studenti superiori di terminare e rafforzare il proprio corso di studi attraverso sgravi fiscali e la concessione di borse di studio gestite dagli atenei più meritevoli, dopo attenta analisi della nuova classifica di valutazione voluta dal governo Monti.
Il dato più forte si registra però tra chi non termina gli studi superiori. Il tasso di disoccupazione per chi non finisce le scuole è il doppio rispetto a quello tra chi ottiene la licenza. E’ quindi chiaro che l’istruzione e l’abbandono scolastico durante la frequentazione degli istituti superiori (detta anche ‘dispersione scolastica’) sono una realtà chiave alla lotta alla disoccupazione. L’esempio più chiaro di contrato al fenomeno della dispersione ci viene ancora dalla Danimarca: il sistema scolastico e di formazione del paese natale di Andersen, propone fin dalla più tenera età un corso di studi personalizzato sulle capacità dell’alunno e la possibilità di accedere a benefit economici di sgravo alle famiglie. Un’interessante proposta è anche quella dell’economista Irene Tinagli che post pone il termine di obbligo scolastico con il conseguimento di un titolo. Insomma, la qualifica è determinante e, in una società competitiva e sempre più specializzata, non ci si può permettere di presentarsi senza un titolo di studio. Gli stessi ammortizzatori sociali potrebbero sviluppare un piano che punti allo stimolo della riqualificazione e della formazione. Lanciando un occhio oltre manica, notiamo l’ambizioso piano dei Labour: il “new deal for young people” in cui, il giovane in formazione, perde tutti i suoi benefici economici nel caso abbandoni il percorso formativo. Non solo, per garantire risultati efficaci, il Governo elargisce incentivi alle agenzie che svolgono meglio il programma e raggiungono i migliori risultati.
Riforme
Un nuovo patto: utilizzare il recupero dell’evasione fiscale per abbassare le tasse. La pressione fiscale sulle imprese, in Italia, è la più alta d’Europa e spesso, questa è la causa della scarsa dinamica di occupazione. Perché non utilizzare una parte del recupero dell’evasione per abbassare l’imponibile? Parliamo dunque di abbassare il cuneo fiscale fino al 10% attraverso degli sgravi mirati alla fascia d’età tra i 15 e i 34 anni per poi, una volta raggiunto l’obiettivo, passare alla fascia successiva. Tra i più recenti esempi ecco l’ “Employing Youth for the American Dream Act”, un programma di leva fiscale che stanzia 8 miliardi di dollari l’anno per incentivare le imprese ad assumere giovani. Non può mancare però un semplificazione fiscale che vada di pari passo con queste iniziative: misure di sostegno alle nuove imprese, alle start up, categoria maltrattata in Italia ma che negli Stati Uniti è stata capace di creare circa tre milioni di posti di lavoro. Sul lato delle normative, per proteggere la categoria, dovrebbero nascere dei centri per l’imprenditoria giovanile. Veri e propri think tank statali (in Francia prendono il nome del progetto Enterprises Cadettes) aperti all’innovazione e capaci di colmare il gap di know how iniziale. Così facendo si taglierebbero tre nodi fondamentali che bloccano lo sviluppo industriale: l’eccessiva tassazione, il peso della burocrazia e l’accesso al credito, quest’ultimo rimane molto difficile nonostante la presentazione di un buon business plan.
Flessibilità controllata
Tra le politiche per contrastare la disoccupazione giovanile è fondamentale l’utilizzo di nuovi strumenti giuridici legati al mondo del lavoro, capaci di proiettarsi in una realtà così variabile. Oggi, infatti, ci troviamo davanti al classico mercato “duale” ovvero un mercato da un lato estremamente flessibile, volubile e con scarse protezioni (tipicamente le generazioni più giovani) e, dall’altro lato, un mercato ancora regolamentato e protetto per chi è inserito. Perno della proposta è l’inserimento del mercato del “contratto unico” a discapito delle decine di forme contrattuali a tempo determinato che dominano la scena. Il “contratto unico” nasce come a tempo indeterminato e prevede una serie di tutele e protezioni crescenti in relazione al tempo passato in quell’impiego. L’obiettivo è quello di ridurre l’eccessiva fragilità dei contratti a tempo, motivare alla formazione e all’avviamento al lavoro e proteggere le fasce di lavoratori attualmente più deboli.
Andrea Rozzato
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