Domenica scorsa alle elezioni politiche del 4 marzo il nostro partito ha subito una pesante sconfitta, andando sotto il 20% dei consensi: il minimo storico. La Lega di Salvini e il movimento Cinque stelle hanno trionfato e a loro spetterà adesso l’onore e l’onere di offrire una prospettiva di governo.
La delusione, nel nostro campo, è tanta. Il segretario nazionale Matteo Renzi ha annunciato le dimissioni e si aprirà per il PD una fase congressuale che speriamo possa sciogliere i troppi nodi rimasti irrisolti. Non sarà un passaggio semplice, e neppure indolore: si consumeranno altre crisi, altri strappi, forse altre scissioni.
In un clima così tempestoso e incerto non dobbiamo pensare che sia tutto cambiato nell’arco di due giorni. Né che il PD sia morto. Il Partito Democratico è ancora vivo, è rappresentativo di una fetta importante di società, può vantare una classe politica competente e preparata, è un partito radicato, strutturato, presente ovunque. E’ un partito con un solido bagaglio di ideali e di valori che non devono essere mai messi in discussione. Da quelli dobbiamo ripartire.
Dobbiamo assolutamente interrogarci sul perché gli Italiani abbiano deciso di non votare PD e abbiano preferito i partiti e movimenti di protesta, cosiddetti anti-sistema. Dobbiamo capirne le ragioni profonde, al di là delle sparate populiste della pessima campagna elettorale che abbiamo lasciato alle spalle.
Sicuramente non saremo capaci di capire tutto e subito: servirà tempo, impegno e buona volontà. Ciò che conta è capire dove si è sbagliato e ritrovare le motivazioni per ripartire.
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