Al sindaco di Cadoneghe, Mirco Gastaldon, abbiamo rivolto tre domande sui due quesiti referendari con i quali si vuole mantenere pubblica la gestione dell’acqua, abrogando il decreto Ronchi approvato dal governo in carica.
E’ vero che il decreto Ronchi, che i due referendum sull’acqua pubblica vogliono in parte abrogare, si vuole privatizzare solo la gestione e non la proprietà del sistema idrico?
Una mistificazione si nasconde dietro l’affermazione che l’acqua resta pubblica e ad essere privatizzata è solo la sua gestione. La legge Ronchi afferma che “almeno il 7% il
margine di guadagno riconosciuto al gestore privato”. Si parla quindi espressamente di un profitto che supera il ritorno dell’investimento. Una privato, che presenti o meno composizione societaria con azionisti, necessità di marginalità positive, di tempi di rientro più brevi rispetto al pubblico nell’esposizione ai mutui per investimento, può operare scelte sulle forniture maggiormente dettate dal rientro del capitale investito rispetto a forniture più disagiate e meno remunerative. Non si chiede l’acqua gratis ma si chiede che i ricavi paghino i puri costi. Valorizzare la risorsa acqua significa limitarne il consumo mentre una logica di utile porta a ritenere più interessante per l’investitore i grandi consumi che portano redditività. Questo per una risorsa limitata come l’acqua potabile
Se l’acqua è un bene comune ed è un diritto, è corretto pensare che una quota di “sopravvivenza” (stimata in 50 litri a testa al giorno) dovrebbe essere garantita gratuitamente a tutti, alzando invece le tariffe per chi spreca un bene così importante?
Nella logica del pagamento dei costi complessivi del sistema senza appesantire la fiscalità generale questo è comunque fattibile. Come precedentemente detto occorre disincentivare i grandi consumi che potrebbero avere tariffe maggiormente progressive e contestualmente ridurre o annullare la tariffa per i piccoli consumi. Per contro in questo caso i grandi consumatori verrebbero appesantiti nelle loro tariffe e ciò renderebbe più costoso ad esempio il prodotto del settore primario (agricoltura) oggi primo consumatore di risorse idriche.

Chi è contro il Referendum e contro la vittoria dei due Sì all’acqua pubblica sostiene che la concorrenza tra operatori privati porterà a un beneficio per gli utenti, a tariffe più basse, a un servizio più efficiente e a minori sprechi. E’ così?
Nei casi di privatizzazione fino ad ora sperimentati per il ciclo idrico, in Italia e all’estero, si è verificato nella totalità dei casi l’aumento delle tariffe e minori investimenti. Questo perché una volta assicurata la gestione pluridecennale dell’infrastruttura molte possono essere le motivazioni anche non prevedibili che portano a scelte (o meno) di ulteriori investimenti o a modifiche tariffarie legate a difficoltà di captazione, a problemi di inquinamento delle falde (molto costosi nella loro risoluzione), a mutate condizioni di finanziamento (tassi bancari) o alla necessità del privato di rientrare dagli investimenti in tempi più celeri rispetto al pubblico. Spesso ad affermare che il pubblico opera poco controllo sono dei politici che, nominati nelle municipalizzate, dovrebbero concentrare i loro sforzi nel controllo e nel miglioramento dell’esercizio delle società stessa. Molte privatizzazioni in Italia (telecomunicazioni, sistema bancario e postale, autostrade, gas, energia elettrica) non hanno purtroppo portato ad avere sia riduzione delle tariffe sia maggiori investimenti in infrastrutture e qualità operando comunque in un sistema comunque di monopolio come sarebbe quello dell’acqua