È necessaria una manovra di correzione dei conti pubblici italiani? Certamente. Un paese con un enorme debito pubblico e deboli prospettive di crescita deve consolidare il proprio merito di credito: tutti gli stati hanno fatto crescere il deficit nel 2009. Tutti sono ora alla ricerca di compratori dei loro titoli. E se noi non ci presentiamo con le carte in regola…
È sufficiente, la manovra da 25 mld decisa dal Governo? Sì, se si trattasse solo di affrontare il problema del deficit e del debito. No, se si tratta – come si tratta – di compiere scelte che aiutino il paese ad affrontare anche il secondo dei suoi problemi: ritmo di crescita troppo basso, a sua volta frutto amaro della insufficiente crescita della produttività del lavoro e dei fattori.
È vero che la manovra si impone perché il Governo – in questi ultimi due anni – ha sbagliato tutte le scelte di politica economica e fiscale? No. La bufera nella quale ci troviamo immersi trova le sue cause negli squilibri macroeconomici globali (enorme debito commerciale USA ed enorme surpluss cinese e degli emergenti) ed europei (gigantesco surpluss della vecchia area del Marco e gigantesco debito pubblico e privato degli altri paesi dell’area Euro). Semmai, è tra il 2001 e il 2006 che l’accoppiata Berlusconi-Tremonti ha preparato l’attuale disastro, facendo crescere di quasi il 5% all’anno – ogni anno, rispetto all’anno precedente – la spesa corrente primaria e tamponando i buchi che tutto ciò apriva nei conti pubblici con ogni forma di condono.
Si è venuta delineando, nel dibattito parlamentare, una credibile alternativa alla manovra proposta dal Governo? Sì. Anche se la lettura dei giornali e l’ascolto dei telegiornali non consente ad alcun cittadino di rendersene conto (ma non può essere solo colpa dei media: evidentemente, le forze dell’opposizione sono in grado di avanzare controproposte serie, ma le “nascondono” esse stesse nel gran frastuono delle migliaia di emendamenti inutili), sia il Pd, sia l’Idv, sia un nutrito gruppo di senatori del Pdl, guidati da Baldassarri, hanno presentato proposte figlie, grossomodo, del seguente ragionamento: 1) nel decreto-manovra non ci sono le necessarie misure per la crescita e l’equità sociale; 2) almeno il 50% delle risorse rivenienti da lotta all’evasione fiscale (cioè, almeno 4/5 mld degli 8 e mezzo cifrati in manovra) devono essere “restituite” ai contribuenti leali, a fini di sviluppo quantitativo e qualitativo; 3) ne consegue che le dimensioni lorde della manovra debbono accrescersi, almeno di 5 mld (per “salvare” una correzione netta almeno di 25), da 25 a 30 mld; 4) questo risultato si può ottenere accrescendo il volume dei risparmi di spesa, dai 15 attualmente previsti ad almeno 20 mld.
Il gruppo del Pd, in particolare, ha presentato una decina di emendamenti che configurano una vera e propria manovra alternativa, organizzata attorno ai seguenti pilastri:

  1. Usare almeno 4 degli 8 mld di maggiore gettito da lotta all’evasione per finanziare una di queste tre scelte: forte riduzione delle aliquote Irpef per i redditi da lavoro di tutte le donne (la soluzione che io preferisco); abolizione dalla base imponibile dell’Irap del 50% del costo del lavoro per le imprese piccole e medie; riduzione da 100 a 50 Euro mensili del prelievo Irpef che grava sui salari operai attorno a 1000 Euro (si è fatto un gran parlare di Pomigliano: ecco una misura che aiuterebbe).
  2. Determinare una più forte riduzione della spesa corrente primaria, operando i tagli non sui “tendenziali” futuri (numeri dell’irrealtà) e solo sulle spese cosiddette “rimodulabili” (meno del 10% della spesa complessiva), ma agendo su tutto il bilancio, come se partissimo ogni anno da zero. Obiettivi di medio-lungo periodo ogni anno basati sul consuntivo dei precedenti. Responsabilità dei dirigenti politici e amministrativi. Grande flessibilità nella gestione. Profonda ristrutturazione della macchina pubblica (senza timori reverenziali verso nessuno: il “fascismo” non c’entra nulla con l’idea di avere un unico prefetto per regione, a capo di un unico ufficio territoriale del governo centrale).
  3. Liberare le energie vitali del paese, superando monopoli, mercati chiusi, fardelli burocratici. Monopoli: subito, la separazione proprietaria di Snam Rete Gas da Eni. Mercati chiusi o organzizzati in modo da danneggiare i consumatori: regoliamo come in Germania tutta la partitia delle lesioni da incidenti automobilistici, finendola con la RC auto che taglieggia le famiglia per bene. Fardelli burocratici: subito le Agenzie per l’impresa, soggetti privati a qualità certificata dal pubblico, che consentono alle imprese di agire sempre in autocertificazione, con le amministrazioni pubbliche che controllano ex post invece che autorizzare ex ante (e, perciò, possono e debbono “dimagrire”).

L’ultima domanda: perché, se questa linea alternativa c’è, non si “vede”? Perché è sepolta sotto una gigantesca marea di proposte di altro segno: ciascuna, in sé, magari giustificabile. Tutte insieme, produttrici di confusione.
Enrico Morando è senatore del Pd, vicepresidente della Commissione Bilancio del Senato.
Articolo tratto da DEMOCRATICA – SCUOLA DI POLITICA  http://www.scuoladipolitica.it